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Maso Bergamini, i pionieri del “bio” in Trentino

Dove tratta della prima fuga da casa dell’ingegnoso Don Chisciotte

Levigne di Maso Bergamini guardano dall’alto la città di Trento, che è ad appena sei chilometri di curve. Ed è nelle cantina di questa casa molto antica, costruita ai primi del Seicento dal Principe Vescovo, che Remo Tomasi e la sua famiglia producono i loro vini. “Ho cominciato ad imbottigliare alla fine degli anni Ottanta” racconta Remo, uno dei pionieri del biologico in Trentino.

Facciamo un passo indietro: per “maso” in tutte le Alpi orientali s’intende una azienda a carattere agricolo e forestale-pastorale comprendente una casa di abitazione (Treccani). Quello che appartiene alla famiglia Tomasi dalla fine degli anni Sessanta, era stato per oltre un secolo di proprietà della famiglia Bergamini, il cui ultimo erede era un sacerdote, alla cui morte era passato al seminario. “I Bergamini hanno lasciato il nome alla località, anche dal 1920 non c’è più nessuno qui con quel cognome. Quando mio padre ha acquistato la proprietà, l’immobile era abbandonato, ed abbiamo ristrutturato un po’ per volta. Fin da bambino ho visitato questa proprietà, queste vigne. e quassù m’è nata la passione di fare il vino. Abitiamo a Maso Bergamini dal 1986” racconta Remo. Da quell’anno, spiega, con la moglie Laura si sono gettati “anima e corpo in questa avventura, fatto di vigna e cantina: era questa la mia idea, dopo aver studiato enologia all’Istituto agrario di San Michele all’Adige ed aver lavorato come enologo”.

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Quando Remo e Laura sono arrivati al maso, la proprietà era divisa tra meleti, prati per il pascolo e vigna. Oggi, invece, l’azienda è specializzata. Sono sei, in tutto, gli ettari vitati, e si trovano intorno ai cinquecento metri d’altezza. “Negli anni abbiamo affiancato un po’ di attività agrituristica, con qualche posto letto e l’organizzazione di pranzi e degustazioni”.

Alla fine degli anni Novanta, i Tomasi sono stati tra i primi a passare all’agricoltura biologica. “Un passo che abbiamo mosso nello scetticismo generale — racconta Remo -: il presidente della cantina sociale ridacchiava, ‘se non metti il diserbante le tue vigne presto saranno tutte morte’ diceva, perché qui non c’era cultura del biologico, del naturale. Oggi per fortuna qualcosa sta cambiando, e anche qua cresce il numero di aziende in conversione. E tra i consumatori cresce la consapevolezza, guardano con più attenzione alla ‘fogliolina’ del biologico”.

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Nonostante la forza di volontà la conversione non è stata semplice, perché è possibile fare errori, mentre ci si tara sul nuovo metodo di conduzione delle vigne. “Esige più impegno — dice Remo -. Capisco che lo scalino è più alto per quei vicini che sono soci di cantine sociali, magari viticoltori part time, che coltivano appena mezzo ettaro: per loro direi che è quasi impossibile così, perché anche se si tratta solo di rame e zolfo ciò che conta è la tempestività dei trattamenti, che dev’essere precisamente ‘quel mattino lì’, quando serve… qui invece c’è gente che è abituata a trattare col sistemico ogni due settimane, nei ritagli di tempo, e difficilmente può passare a un metodo più impegnativo”.

La scelta naturale per Maso Bergamini rispondeva alla necessità di “fare vini più puliti, salubri e legati al territorio”, tornando agli anni Sessanta, quando nei vigneti non c’erano erbicidi, la terra si lavorava, l’erba veniva sfalciata, e si usava verderame.
Oggi, l’azienda della famiglia Tomasi sta crescendo. In vigna col padre c’è anche Damiano, classe 1990, tornato a Trento dopo aver completato gli studi di Agraria a Padova. “Siamo in società, abbiamo modificato anche la ragione sociale in ‘Maso Bergamini, società agricola semplice’ — spiega Remo -, per dare dignità in azienda anche al lavoro delle nuove generazioni figli” (oltre a Damiano, Remo e Laura hanno anche una figlia, Noemi).

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Nei sei ettari di vigna a Maso Bergamini trovano posto varietà locali tradizionali, come il Gewurztraminer, il Teroldego, il Lagrein, ma anche il Pinot Nero, che ama la freschezza e può esprimersi al meglio a queste altitudini. Poi c’è il Riesling Renano: “Una scelta dettata dalla passione ma anche dal territorio: il Riesling non ama il calcare, e si trova bene su queste terre basaltiche, vulcaniche” racconta Remo. E aggiunge: “È il suo posto. Difficilmente ci sono annate in cui l’uva non dà profumi o freschezza. Eravamo parte dell’impero: dagli inizi del Novecento quassù s’è coltivato il Riesling.
“Terre basaltiche” è anche il nome dell’etichetta principe del territorio, il Trento DOC. Quello di Maso Bergamini è fatto con uve Chardonnay (60%) e Pinot Nero (40%). “Ha una nota minerale che è molto profonda” spiega Tomasi. Il sito aziendale lo descrive così: “Da un nostro vigneto con viti di oltre trenta anni, ottenendo una base spumante con grande struttura e acidità. Nella primavera successiva alla vendemmia si esegue il tirage in bottiglia secondo il metodo classico champenoise”. Per due anni lo spumante matura nelle cantine interrate.

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L’azienda produce in tutto tra le 25 e le 30mila bottiglie all’anno. Il 70–80% della produzione finisce sul mercato italiano, anche perché è difficile vendere un metodo classico in Germania, dove l’unica bollicina italiana a tirare è il Prosecco. A Maso Bergamini invece si cresce piantando nuovi vigneti di Pinot Nero, che “va bene sia per il vino fermo che per lo spumante, è piacevole d’estate e d’inverno, e non ha tannini aggressivi”. È il vino del futuro.