reportage ricci
Alla fine degli anni Novanta, i Tomasi sono stati tra i primi a passare all’agricoltura biologica. “Un passo che abbiamo mosso nello scetticismo generale — racconta Remo -: il presidente della cantina sociale ridacchiava, ‘se non metti il diserbante le tue vigne presto saranno tutte morte’ diceva, perché qui non c’era cultura del biologico, del naturale. Oggi per fortuna qualcosa sta cambiando, e anche qua cresce il numero di aziende in conversione. E tra i consumatori cresce la consapevolezza, guardano con più attenzione alla ‘fogliolina’ del biologico”.
Nonostante la forza di volontà la conversione non è stata semplice, perché è possibile fare errori, mentre ci si tara sul nuovo metodo di conduzione delle vigne. “Esige più impegno — dice Remo -. Capisco che lo scalino è più alto per quei vicini che sono soci di cantine sociali, magari viticoltori part time, che coltivano appena mezzo ettaro: per loro direi che è quasi impossibile così, perché anche se si tratta solo di rame e zolfo ciò che conta è la tempestività dei trattamenti, che dev’essere precisamente ‘quel mattino lì’, quando serve… qui invece c’è gente che è abituata a trattare col sistemico ogni due settimane, nei ritagli di tempo, e difficilmente può passare a un metodo più impegnativo”.
La scelta naturale per Maso Bergamini rispondeva alla necessità di “fare vini più puliti, salubri e legati al territorio”, tornando agli anni Sessanta, quando nei vigneti non c’erano erbicidi, la terra si lavorava, l’erba veniva sfalciata, e si usava verderame.
Oggi, l’azienda della famiglia Tomasi sta crescendo. In vigna col padre c’è anche Damiano, classe 1990, tornato a Trento dopo aver completato gli studi di Agraria a Padova. “Siamo in società, abbiamo modificato anche la ragione sociale in ‘Maso Bergamini, società agricola semplice’ — spiega Remo -, per dare dignità in azienda anche al lavoro delle nuove generazioni figli” (oltre a Damiano, Remo e Laura hanno anche una figlia, Noemi).
Nei sei ettari di vigna a Maso Bergamini trovano posto varietà locali tradizionali, come il Gewurztraminer, il Teroldego, il Lagrein, ma anche il Pinot Nero, che ama la freschezza e può esprimersi al meglio a queste altitudini. Poi c’è il Riesling Renano: “Una scelta dettata dalla passione ma anche dal territorio: il Riesling non ama il calcare, e si trova bene su queste terre basaltiche, vulcaniche” racconta Remo. E aggiunge: “È il suo posto. Difficilmente ci sono annate in cui l’uva non dà profumi o freschezza.